Piantare in… Naxos
In questi giorni di torrida estate mi capita di bazzicare dalle parti di Giardini Naxos: su un ristretto golfo mangiato dal mare, dove la spiaggia è difesa da cordoni artificiali di scogli, si accalca un carnaio variopinto di corpi al sole: vivi, semivivi e qualcuno in attesa di rianimazione dopo doverosa cottura ai raggi UVA.
Molti preferendo la cottura a bagnomaria fanno capolino da un mare bonaccioso, fingendo di nuotare, ma in realtà saltellando nervosamente tra i ciottoli che perfidi si infilano tra “i diti” dei piedi, provocando fastidiose punzecchiature che manco i piranha nel fiume Orinoco.
Qui, dico, se con uno sforzo di fantasia eliminiamo il carnaio di cui sopra, togliamo i venditori di perline e olii per massaggi thai, i pizzaioli sudatizzi delle pizzeapranzo amate dai turisti d’Oltralpe che le degustano con birra e cappuccino, gli ombrelloni disposti marzialmente a schiera, il cordone di case con veranda vista mare e la sanatoria pagata…
Se, dico, se eliminiamo tutto questo, riversiamo sulla costa una spiaggetta di ciottolini, una piattaforma di scogli emersa dal mare prima che i bradisismi la portassero sotto il pelo dell’acqua, avremmo una spiaggia più ampia, delimitata a nord dalla gobba irsuta del monte Tauro con ai piedi le gemme emerse dal mare dell’isola Bella e delle sue sorelle (allora piuttosto penisole), e a sud dal promontorio di capo Schisò.
Se, dunque, chiudendo gli occhi riuscissimo nell’impresa e riportassimo le lancette indietro di circa 2758 anni, vedremmo una costa bellissima, un mare incontaminato, senza la schiumazza (per tacere d’altro) scaricata dalle navi da crociera e dagli insolenti yacht che stanno in rada scaricando su veloci gommoni turisti annoiati.
E a proposito di turismo, dovete sapere che i Greci, loro la sapevano lunga quando decidevano di fare turismo di massa e di certo i tour operator del tempo, quando affiggevano su tavolette incerate all’ombra delle stoà, le loro offerte last minute sapevano come accalappiare clienti. Per esempio sui depliant scrivevamo qualcosa come:
Cercasi coloni, bellissima località bagnata dal mare, frequentata da ninfe tutto l’anno e occasionalmente da Zeus poligamo; monolocale offresi a sorteggio, dotato di tutti i servizi e affaccio su cortile lastricato, disponibilità di acqua potabile da pozzo o cisterna, vicinanza plateia (=strada piuttosto larga) con vista panoramica sul mare, possibilità accesso porto, a uno stadio di distanza (poco meno di 200 m di oggi…) santuario poliade accessoriato, con altare king size per ecatombi multiple
Sul retro della tavoletta doveva certamente trovarsi una postilla piccola piccola che recitava “possibilità di tenersi in forma durante il viaggio in nave”, un sotterfugio per convincere i più ingenui (o i più sfigati) a dare di mano ai remi, perché ai tempi si sa, non c’era modo di navigare a vela contro vento e il diesel non lo vendevano ancora a 1,727 euro al litro (costo in Sicilia, ma se andate a fondare una colonia a San Gimignano, un litro di diesel vi costa 1,698 euro).
Comunque sia, l’offerta era sicuramente “prendere o lasciare”, ma la prospettiva del viaggio era allettante, sovvenzioni di orzo garantite per almeno due o tre anni, il tempo di mettere a coltura i campi, ah già quelli pure venivano dati a lotteria, “terre grasse e pascoli agevolati” diceva il depliant, “possibilità di spedizioni avventurose verso l’interno” per i più gagliardi, ai danni delle popolazioni locali che sì, potevano avere da un occhio a tre, a seconda della matematica, della vista dei primi esploratori, e del fatto che quando riferivano quanto avevano visto fossero sobri o meno.
Quindi ad un certo punto si partiva, si sceglieva chi dovesse essere il fondatore della nuova colonia, l’ecista, ossia un incrocio tra un condottiero omerico e il rappresentante di un’agenzia di viaggi, scelto tra i membri di famiglie facoltose, magari dopo che aveva messo in stato interessante una giovane di buona famiglia in occasione di qualche festa religiosa dedicata a Demetra o ad Artemide (e dàglie quella a dire che aveva passato la notte con Apollo in persona!).
Partiva dunque la spedizione, non prima di avere fatto la visita di cortesia alla Pizia, la scapigliata sacerdotessa di Apollo che tra i fumi (???) dell’antro di Delfi vaticinava cose incomprensibili a prezzi esorbitanti, mandando in visibilio i fedeli venuti in visita. Arriva Teocle, l’ecista da Calcide, ridente cittadina dell’Eubea, tutto emozionato per chiedere il consenso del dio Febo, lo splendente, il cetrapizzicatore, tronista e sciupafemmine Apollo.
- Salve Pizia, vorremmo fondare una colonia nella terra della Trinacria.
La Pizia sgridda gli occhi invasata, schiumando dalla bocca. Qualche serpente le si intorcica attorno alle caviglie per farla inciampare. Infatti cade. Poi ispirata dice:
- UUUUhm! Andate a Giardini. Volo Atene-Catania Fontanarossa. Percorrete la A19, Catania-Messina, uscita autostrada dopo Calatabiano est, evitare bagni Autogrill. Troppo sporchi. Caffè buono per lavarci i piedi. AAAAh! Diffidare del benzinaio, vuole sempre cambiare il filtro dell’olio!!!
L’ecista perplesso:
- Come scusi?
E la Pizia riprende:
- IIIIh! Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi! Le code chilometriche al casello di Catania, i lavori in corso iniziati da due anni e mai finiti, il Telepass che si ferma al primo beep!
L’ecista sempre più perplesso chiede spiegazioni:
- Divina, per dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare?
La Sibilla sbotta rassegnata, capisce che il suo talent show sta per finire (per quella profezia aveva infatti chiesto un talento di argento, ossia qualcosa come 26 kg di argento al cambio di Atene).
- E vabbè, ascoltami bene mortale: tiratevi fuori dal golfo euboico, toccate Citera e navigate verso Ovest tenendo d’occhio il Gran Carro. Dopo cinque giorni di mare, col vento a favore (partite quando soffia il Levante), arriverete alla vista di un alto promontorio, il Pachino, non vi fermate, quella è terra contesa dai Fenici, non fa per voi. Andate a Nord, superate la montagna di Efesto che getta fuoco, all’alba del secondo giorno di navigazione troverete una rada proprio bella... Gettate le ancore lì e sacrificate a meee!
- A lei Pizia?
- No, a meee Apollloo! Sbotta la Pizia con un vocione baritonale.
Insomma, magari non andò proprio così, ma sta di fatto che intorno al 734 prima dell’era volgare, un gruppo di coloni se ne partì da Calcide (e forse da qualche altra località…come l’isola di Nasso, da cui il nome Naxos) per fondare la prima colonia greca di Sicilia. E questi impavidi coloni (ma in greco colonia si dice apoikìa, “casa-lontano da casa”) la costruirono proprio bene, panoramica quanto basta, servita da un porto, lambita da un fiume, con un territorio, la chora, fertile e ampio. Ma non è tutto, perché questi coloni, dovettero dissodare, disboscare, strappare alla natura gli spazi per i campi e la loro città e per fare questo, forse per amore della geometria (prima ancora di Euclide) o per criterio di uguaglianza (perché misurare rettangoli e quadrati viene sempre più facile) tracciarono strade a perpendicolo, isolati rettangolari e scommettiamo che anche i lotti di terra da coltivare erano divisi con lo stesso criterio. Contro il caos della natura, lo stesso caos pittoresco che si erano lasciati alle spalle, di casine abbarbicate lungo i crinali tortuosi dell’Eubea, quello che ora campeggia nelle cartoline turistiche “Dalla Grecia con amore”, i Greci in Sicilia diedero il meglio di sé e Naxos ne è la prima meravigliosa testimonianza.
Eccola, la città antica, nascosta dietro gli alberi di ulivo, mascherata dal Castello di Schisò, sede del museo archeologico, appena emersa dal suolo per pochi filari di pietre, con i suoi sacelli, le vie larghe, gli isolati regolari con i cortili interni, aspetta di essere scoperta e conosciuta da quelle migliaia di turisti che distrattamente fanno il bagno a Giardini guardando con ammirazione le alture di Taormina e Castel Mola. Qui è caos, lì, tra gli alberi da frutto, è arcano silenzio appena interrotto dal frinire delle cicale. Tra le rovine, da lontano portati dal vento si sentono i colpi dei bassi: breve, breve, lunga; un anapesto, lo stesso ritmo dei cori greci quando entravano nell’orchestra:
Molte sono le cose straordinarie, eppure nulla di più straordinario dell'uomo esiste;
questo anche oltre il grigio
mare con tempestoso vento
avanza, sotto ondate
rumoreggianti procedendo, e tra le dee la più alta, la Terra
indistruttibile, instancabile (egli) logora
calcando aratri di anno in anno,
trattandola con specie equina.
(Sofocle, Antigone, 333-341)
Francesca Trapani